IL RESPIRO DEL MARÉ

19 Luglio 2021

C’è un luogo sul mare, lampade dai ricami in pizzo, piantine di rosmarino a decorare i tavoli di legno, balene di ferro appese al soffitto, lanterne luminose ai piedi di una sughera. È un luogo che sa di buono come l’odore del bucato appena steso, che profuma di mirto e di lavanda. Di passione e di ricerca.

 

Si chiama Maré e si trova a pochi passi dal Porto Canale Leonardesco, zona di trabocchi, di partenze e di ritorni. Di soste che vorresti, d’incanto, tramutare in fermate senza incappare in quel naturale senso di colpa che accompagna un tempo veloce, che ci vorrebbe scattanti, pronti, sempre sul pezzo.

 

«Venivo qui con un’amica, anni fa. Di questo luogo ho amato dal primo istante il modo in cui mi faceva sentire…» racconta Monica, che oggi del Maré è Direttrice. La bocca è coperta dalla mascherina ma gli occhi scuri raccontano la gioia dell’essere di nuovo qui dopo un anno e mezzo che ha spettinato le vite di tutti. Parla con calma, Monica, con i suoi ragazzi e con i clienti. E’ il punto fermo, la boa a cui aggrapparsi. «Arrivavo qui e la mente si sgombrava, le spalle diventavano leggere. Mi ricordava ogni volta la cosa più importante, quella del saper vivere qui ed ora».

Di mezzo, per Monica, una laurea in economia e commercio, la proposta di un contratto a tempo indeterminato a Milano, da Armani, la voglia di indipendenza, e, al contempo, la sensazione di appassire lentamente, o peggio, di soffocare, chiusa dentro quattro mura. Il bisogno di stabilità che sfida sul ring la necessità di stimoli e progetti in continuo divenire. Che poi, semplificando, è l’arte di saper dare retta al proprio sentire.

 

«Ho sempre visto mio padre andare al lavoro con gioia, fare quello che amava senza snaturarsi. Dovere e passione mescolati insieme. Credo che questo mi abbia spinta, un giorno, ad allontanarmi da Milano, tornare qui e lanciarmi in nuove avventure. Il Maré è solo l’ultima in ordine di tempo ed è il luogo del quale, se non fossi arrivata, avrei sempre sentito la mancanza».

 

Essere qui è come riagganciare le sinapsi, respirare a pieni polmoni. È aria buona. Il profumo che giunge dalla cucina sa di ricerca e di calore, di familiarità e di anima, è la sensazione che ogni cosa, si trovi al posto giusto. Giusta come la sensazione stavolta, per una volta, di non aver sbagliato tempi ed impressioni. Mentre Monica si allontana per qualche istante penso all’importanza di esserci, “lasciare la vita sospesa negli angoli e abbandonarsi all’umana paura di essere liberi” per citare Patrizia Laquidara.

«Se ti guardi intorno potresti essere ovunque, Spagna, Marocco, sud Italia, Provenza. La magia del Maré è questa, è il suo respiro. È qualcosa che, per me, va oltre il lavoro, oltre la fatica quotidiana, è il desiderio di regalare a chi arriva le sensazioni che ho provato io stando dall’altra parte» prosegue Monica «Impegno è la parola chiave, quella attorno a cui si muove ogni cosa. Esserci non è una scelta ma una promessa».

 

Avrei potuto essere altrove, oggi, e ho scelto di essere qui. Con la musica di sottofondo, i piedi nella sabbia, il cuore gonfio di cose che infilerò in valigia accanto alle infradito ancora umide, alla macchina fotografica. È un’assemblea di stelle alle quali chiedere scusa per aver smesso, d’un tratto, di meravigliarsi.

 

Vorrei che spazio e tempo si potessero tirare come con un elastico, teso più a lungo possibile affinché questo senso di vero e pace possa resistere alla frenesia che tiene in scacco la vita, alle assenze ancora da cicatrizzare, alla presunzione di chi coi piedi è andato ovunque senza mai riuscire ad andare oltre. E mentre aspetto la prossima portata, mi accorgo che già sto percorrendo la strada al contrario, quella del ritorno, ed è la malinconia che si posa sulle mie spalle a celebrare il valore di questo viaggio. Negli anni il lavoro mi ha insegnato che i luoghi non sono mattoni messi uno sopra l’altro, pareti tirate in piedi e ben intonacate. I luoghi sono le persone che li abitano. Tra poco saluterò Monica e il Maré e i suoi ragazzi con quel dispiacere che riservo solo a chi, malgrado il poco tempo, ha saputo farsi spazio dentro.

 

Osservo le persone sedute ai tavoli e non ce n’è una che in questo istante non stia sorridendo. Ognuno di noi, qui, è arrivato con la propria storia, nel proprio tratto di strada. Chi in pace, chi in piena tempesta. Chi timido spettatore, chi audace ed intraprendente protagonista. Ognuno con i propri vuoti dentro, sogni e progetti da avverare, piccole cose che il microscopio ingrandisce fino a restituire ad ognuna la giusta importanza. Me ne vado con la certezza che famiglia assuma il significato di una scelta quotidiana, non solo la radice dalla quale proveniamo. Rivedo ogni scena come veloci flashback sapientemente montati uno dopo l’altro. Ho affidato un pezzo di cuore a chi se ne prenderà cura e alla geografia il compito di ricordarmi quanto poco possa contare di fronte a chi s’impegna, reciprocamente, a Restare.

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