STORIE DALL’HUB VACCINALE ANTI COVID: MARIELLA CESURA

21 Marzo 2021
STORIE DALL'HUB VACCINALE ANTI COVID:
MARIELLA CESURA

Incontro gli occhi azzurro cielo della signora Mariella, mentre il mio primo giorno di documentazione all’hub vaccinazioni di Cremona Fiere è terminato. Taccuino in tasca, macchina fotografica in borsa, borsa al collo. Incontro Mariella per una serie fortunata di coincidenze, a dimostrazione che casualità e fortuna camminano su binari paralleli e che, certe volte, quando si è fortunati, molto fortunati, quei binari s’incontrano.

 

Da otto anni non provo la sensazione di tenere sottobraccio un anziano, otto anni che non stringo forte la mano di un anziano. Otto anni che non parlo di me ad un anziano. Insomma, convivo da otto anni con un’assenza che, dapprima atroce e insopportabile, si è tramutata pian piano in una preziosa dama da compagnia. Mariella Cesura, ottant’anni di garbo ed eleganza, è qui per ricevere la prima dose di vaccino.

 

E mentre naturalmente riprendo familiarità con gesti con i quali non ho dimestichezza da un po’, c’incamminiamo insieme verso l’ingresso dell’hub. Ci aspettano la registrazione dai volontari, il colloquio con il medico e una breve attesa prima che arrivi il “nostro” turno.

 

«Sono il Presidente dell’Associazione di volontariato Avulss e faccio parte anche de Gli Amici dell’Ospedale.» racconta Mariella, sistemando la borsa blu in tono con il cappotto e il foulard a pois, sulle ginocchia. «Fino a quando è stato possibile sono stata in medicina specialistica riabilitativa e in radioterapia. Poi a Cremona Solidale per le tombolate del martedì. Una vita così, d’altronde vivo sola e se vivessi solo di ricordi non avrei più uno scopo. Invece donare un po’ del mio tempo agli altri mi rasserena. E guarda che fare volontariato non significa solo rivolgersi ai pazienti in degenza in ospedale, significa creare prima di tutto un gruppo di persone affiatate. Siamo come le radici delle piante che assorbono l’acqua del terreno e servono da ancoraggio con la terra».

 

Gli occhi di Mariella si muovono veloci, sono curiosi. E sebbene quegli occhi abbiano conosciuto da vicino la tempesta, la paura che fa il mare quando è agitato, non hanno perso nemmeno un briciolo della loro vivacità.

 

“Ho iniziato a lavorare tardi, a trentasette anni, è successo quando mio marito ha avuto un infarto. Dopo una ricaduta, purtroppo, non ce l’ha fatta. Era il 1984 e avevo due figli da crescere di 13 e 14 anni.” il tono della voce ora si fa incerto. “Quei due ragazzi sono la mia fortuna, i miei tesori, siamo unitissimi. Fino alla morte di mio marito io facevo la mamma, la donna di casa e mi dava una gran soddisfazione. Non ho mai trovato svilente dedicarmi alla famiglia, anzi, avevo la sensazione d’esserne il collante. Ma a quel punto, avevo bisogno di lavorare. Ricordo che c’era una selezione in Comune a Cremona, ho partecipato al concorso pubblico per impiegata d’ordine ed è andato bene. Poco dopo ho iniziato ad occuparmi della gestione del personale, seguivo le selezioni e i concorsi come segretaria verbalizzante”. Un lavoro che nel tempo si è rivelato qualcosa di più profondo. “Cercavo di capire chi aveva davvero necessità di lavorare. Ricordo di giovani che sembravano spavaldi al limite del fastidioso ma avevano una storia difficile e andavano seguiti, aiutati. Capiti”.

Il volontario chiama il numero 78. È il nostro turno.

 

«Vieni con me?» mi chiede Mariella.
«Certo che sì».

 

Prima di entrare nel box numero 3, mi affida la borsetta e il suo elegantissimo cappotto blu dal quale spunta la spilla di Avulss. Resto lì, fuori dal box, quasi ad accertarmi che tutto vada per il verso giusto. Come se Mariella non fosse una persona incontrata solo dieci minuti prima, per caso, fuori dall’hub. Ma qualcuno di caro di cui prendersi cura.

 

«Si è portata anche la fotografa?» scherzano le infermiere vedendo la macchina fotografica che tengo al collo.

 

Mentre aspettiamo il tempo necessario per accettarci che non compaiano effetti collaterali post-vaccino, torniamo a parlare dei miei otto anni, quelli spesi credendo che stringere un’altra mano avrebbe tolto qualcosa a qualcuno.

 

«Chi hai amato tanto non se ne va…» sorride Mariella. E io, a questo punto, non so se stiamo parlando di me o di lei. «Quel vuoto resta, nessuno potrà mai riempirlo, te lo porti dietro, dentro, ovunque andrai. Non è vero che il tempo cura le ferite, non rimargina nulla, non trasforma le cose. Il tempo non è un prestigiatore. Lo so quant’è difficile ma hai due strade davanti a te: puoi scegliere di chiuderti per paura di soffrire ancora oppure accettare il dolore come parte integrante del viaggio. Stringere un’altra mano non toglie niente alla mano che non puoi più tenere stretta, né proverai le stesse cose, facendolo. Ne proverai altre, diverse. Perché forse non lo sai ma dentro di noi lo spazio per l’amore è infinito».

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