Niccolò Fabi, il tesoro alla fine dell’arcobaleno

Più che un concerto è qualcosa che somiglia molto, moltissimo, al viaggio. O meglio ancora, ad un’esperienza. E Niccolò Fabi, sul palco racconta in modo perfetto, gentile e saldo quella barca che naviga nella tempesta e che torna salva nel porto solo dopo averla attraversata.
Il mare è talmente grande che c’è spazio per tutto. Si avvicina al confine, alla linea sottile che separa lo straordinario dal normale, che forse, possono anche coincidere. Il silenzio in tutte le lingue del mondo. Quello scrivere d’amore e subito dopo nascondersi.
È un viaggio sofferto, faticoso, ma pieno di speranza, di amore, profondissimo, quell’amore che insegna che talvolta occorre lasciar andare. Occorre saper perdere. Le riflessioni, le difese che sono quei ponti messi tra noi e gli altri, i dubbi, le fragilità che si trasformano in perle da custodire. Le assenze che tornano, la leggerezza che non è sinonimo di superficialità ma di leggerezza, appunto. La capacità di stare nel Nirvana, nel qui ed ora.

Qualcuno nel pubblico si asciuga gli occhi umidi, altri cantano ad alta voce come fosse una liberazione, finalmente la musica. Finalmente questa musica. Ci sono anche bambini e non giocano con tablet o telefoni, ma ascoltano. Cantano. Il ché, commuove ancor di più, se fosse possibile. Chiudere gli occhi e immaginare una gioia come canta Niccolò, non è difficile stasera, è la gioia che sta nel rimettersi in piedi, nella vita ancora da costruire, quel costruire che è sapere e poter rinunciare alla perfezione.
Il tesoro, dopotutto, è lì, alla fine dell’arcobaleno.
