Maurizia Cacciatori: fare squadra nella vita

26 Settembre 2020
MAURIZIA CACCIATORI
FARE SQUADRA NELLA VITA

 

 

Impossibile non riconoscere Maurizia Cacciatori, quando varca la soglia del cancello con il suo pallone giallo e blu tra le mani. Nessuna forma di divismo, una naturalezza disarmante, il ché per una che nel proprio personale palmares conta 228 presenze nella Nazionale italiana di pallavolo femminile, un oro ai Giochi del Mediterraneo del 2001, un bronzo agli Europei del 1999, un argento a quelli del 2001 in Bulgaria, è qualcosa di fuori dall’ordinario. Non c’è distanza, nessuna sovrastruttura, il ben che minimo imbarazzo nel rivolgersi a lei.

 

Maurizia racconta di se stessa, la sua vita, i traguardi raggiunti, gli inciampi necessari a crescere e la scoperta grazie a Giulio Velasco, che essere leader di una squadra significa, prima di tutto, riconoscere i propri limiti.

 

“Le coppe si vincono in allenamento, si scende in campo solo per ritirarle” sorride. Che è un pò come dire che ai fini di un viaggio non contano destinazione e riconoscimenti ma i passi che, messi in fila, uno dopo l’altro, consentono di evolvere, di cambiare il nostro punto di vista. Di crescere. Conta riuscire a togliersi dal centro, avere un obiettivo condiviso.

 

“Sono arrivata in Serie A da una piccola squadra locale e mi sono ritrovata a condividere il campo con atlete che avevano vinto Champions, Olimpiadi. Il massimo che avevo vinto io? Le regionali.” sospira, cercando di smorzare l’emozione della memoria che si riavvolge come un nastro. “Ho capito con il tempo che la domanda più importante che potessi farmi era: come posso essere al servizio? Ho guardato dritto negli occhi i miei limiti e capito che non bastava saper palleggiare bene o fare dei bagher precisi, dovevo ragionare al plurale, collaborare.”

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Il capitano è colui che costruisce, che appoggia, che chiede aiuto quando è necessario. Che dà ascolto e che non chiude la porta, ma, semmai, la apre.”

 

In sala scorgo qualche occhio lucido, d’altronde è un’emozione necessaria persino per un leader come Maurizia che sull’empatia ha fondato un’intera carriera. Sono percorsi che si mescolano, ricordi relegati in un angolo della memoria, e che, d’un tratto chiedono di essere tirati fuori. Sono strade sconnesse che anticipano discese sconfinate, euforie ed entusiasmi fuori misura. Un continuo sali e scendi emotivo che, di fatto, equivale al vivere di cui tutti, nessuno escluso, abbiamo profondo bisogno.

 

“La pallavolo insegna lo spirito di collaborazione, è una lezione importantissima: mentre gioco non posso pensare a me stessa, non posso tenere per me la palla ma devo passarla subito ad una compagna altrimenti l’arbitro fischia. E questo spirito non dovrebbe limitarsi ad un campo sportivo ma spingersi oltre, nella vita. Fare squadra nella vita. Giulio Velasco mi ha tolto alibi e scuse, mi ha chiesto di essere la cameriera della nazionale e mettermi al servizio della squadra. Questo è un capitano, colui che costruisce, che appoggia, che chiede aiuto quando è necessario, che dà ascolto e che non chiude la porta. Ma, semmai, la apre.”

 

E mentre scrivo penso alla frase iniziale di una canzone di Niccolò Fabi che dice “Chiudi gli occhi e immagina una gioia. Molto probabilmente penseresti a una partenza”. Il titolo del pezzo non è casuale. E’ “Costruire”.

 

 

 

 

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