L’ultima volta che ero stata qui i Samaritan’s stavano smontando le loro tende e qualche giorno fa la Rai ha trasmesso il documentario “Senza Respiro” girato all’interno dell’Ospedale Maggiore di Cremona. Scene di guerra combattute contro un nemico perfido e così poco prevedibile, scene di dolore profondissimo, ché, a guardarlo adesso, l’ospedale non sembra nemmeno lo stesso.

Il parcheggio non ospita più le tende dei samaritani ma le macchine dei dipendenti, molti reparti sono Covid free, le espressioni di medici e personale sanitario sono più distese, di tanto in tanto tradiscono qualche sorriso nascosto dietro le loro mascherine. Persino le sirene delle ambulanze sembrano stridere meno. Eppure tutto è accaduto proprio qui solo qualche settimana fa. E nei momenti di pausa tra un’intervista e l’altra, oggi mi guardavo intorno pensando proprio a questo: osservavo i corridoi, ogni spazio, ogni finestra, ogni stanza. Immaginavo i volti, le voci e le storie delle persone passate per di qui. Chi ce l’ha fatta abbracciando non solo i propri cari ma anche la sensazione d’essere vivo per miracolo e chi, al contrario, se n’è andato da solo senza che qualcuno gli tenesse la mano.

Non sono così utopista da pensare che questo momento drammatico abbia cambiato tutti quanti noi. Credo, piuttosto, che la natura delle persone rimanga la stessa a dispetto degli eventi che si susseguono. Coloro che sono vittime del loro delirio di onnipotenza continueranno a credersi al di sopra delle parti. Al di sopra del virus e di tutto il resto. Chi che invece è portatore sano dello spirito di sacrificio e della capacità (rara) di togliersi dal centro per il bene degli altri, ne è uscito senz’altro migliore. Sono serviti coraggio, forza, dedizione, cura, per attraversare tutto questo dolore senza esserne spezzati, per non perdere la speranza.

Ma come dice Nicolò Fabi in una sua canzone: “la storia è un equilibrio tra le fonti, il disegno che compare unendo i punti”.

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